Questa poesia, Esodo, si fa carico di un dolore collettivo e universale, trasformando l'immagine della migrazione forzata in un moto inarrestabile, simile a un'onda che si solleva senza mare, che si spinge senza meta, che si schianta sulla Storia. Il linguaggio è essenziale, quasi scarno, come a voler rispecchiare la condizione di chi si trova costretto a lasciare la propria terra, diventando parte di una massa che si muove compatta, ma priva di un orizzonte chiaro. Il riferimento a Gaza e alla datazione rende ancora più urgente e concreta la riflessione sulla sofferenza umana e sul silenzio del mondo di fronte a essa.
Esodo
Come granelli di polvere
Fitti e ordinati
Sospinti in una sola direzione
Senza destinazione.
Si muove l'onda
Anche senza il mare
Resta compatta sulla terra
Una schiuma informe
Che si dilata e muove
Per coprire la distanza
Tra un ricordo e il vuoto:
Destinazione ignota.
Arriverà l'onda umana
A schiantarsi sulla Storia.
Un esodo che esplode
Nella coscienza di chi tace
E solo il cielo
Accoglierà il loro pianto.
(Febbraio 2025. Gaza)
I.C
Nel suo epilogo, la poesia lascia spazio a una denuncia silenziosa: l’esodo si compie, la Storia ne sarà testimone, ma il silenzio di chi osserva senza agire pesa quanto il dramma stesso. Solo il cielo accoglierà il pianto di chi ha perso tutto, perché la terra sembra voltarsi altrove. L’ultimo verso è una chiusura amara e potente, che richiama la tragedia e l'impotenza, lasciando aperta una domanda dolorosa: chi ascolterà davvero questo grido?
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Una luce accecante che ferisce la nostra colpevole indifferenza. Parola potente.